Eccellenza Accademica e Scientifica

di Franco Maloberti

Ho una buona esperienza di sistemi universitari stranieri. Sono stato, anche per lunghi periodi, in varie università nel mondo e ho ripetutamente verificato che l’eccellenza e la fama degli Atenei derivano fondamentalmente da tre elementi: denaro, supporto logistico/amministrativo e riconoscimento e incoraggiamento per il valore accademico e scientifico. Al contrario, il trascurare questi tre elementi, e in particolare gli ultimi due, determina obsolescenza, pur se alcuni “eroi” tentano con determinazione a opporsi all’ineluttabile mediocrità. A proposito di eroi, è doveroso ricordare la frase che Bertold Brecht fa dire a Galileo nella sua “Vita di Galileo” «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi», dopo la sua umiliante abiura di fronte al tribunale dell’inquisizione. Quella non fu una furba autodifesa ma la constatazione di vivere in un mondo dominato da mediocrità intellettuale: gli eroi moderni, a differenza di quelli antichi, appaiono quando ci sono governi incapaci che portano al declino economico e culturale; gli eroi allora, spinti da una forza morale e fisica, s’impegnano per la sopravvivenza d’idee e principi. Nelle università per l’eccellenza.

Ho nominato Brecht e il suo “Vita di Galileo” perché qualche mese fa un nostro giovane ricercatore, emigrato all’Università di Toronto, mi disse: «Vedendo le condizioni in cui io opero, penso che voi siate degli eroi per sostenere il vostro livello di competitività scientifica». E, in effetti, come sembra chiaro, le condizioni al contorno in cui si opera sono tutt’altro che favorevoli.

Il primo elemento che favorisce l’eccellenza è il denaro. Che questo conti, è evidente. Basta guardare i vari ranking delle Università del mondo e verificare che chi è ai primi posti ha livelli di finanziamento alla ricerca attorno o anche più di mezzo miliardo di Euro annui, più di dieci volte il finanziamento nazionale per tutti progetti di ricerca d’interesse nazionale (PRIN). Se si guarda il ranking Jiao Tong, si può verificare, ad esempio, che l’università americana classificata al novantanovesimo posto (Georgia Tech) ha finanziamenti per la ricerca di 640 milioni di dollari, una cifra per noi stratosferica.  Come sia possibile arrivare a tali livelli è di facile spiegazione. Ci sono due ragioni, il primo è il prestigio nazionale (che non si consegue con i fichi secchi) e il secondo il ritorno dell’investimento. La seconda ragione è quanto motiva i finanziamenti americani e canadesi (senza considerare quelli asiatici) poiché nei paesi anglosassoni è ben consolidata la consapevolezza che la ricerca è il motore dell’innovazione e i finanziamenti sono, appunto, per creare il terreno di coltura favorevole a nuovi prodotti e attività high-tech. In Italia, l’attenzione è al contrario nel mettere “pezze” a problemi impellenti e per soddisfare necessità immediate di massa, senza rendersi conto (si spera per ignoranza) che le attuali determinazioni causano principalmente gravi problemi per il prossimo futuro. Inoltre, l’opinione pubblica, erroneamente e colpevolmente male informata dall’informazione, ritiene che l’attività di ricerca sia globalmente inessenziale e per nulla la vede come necessità vitale per una solida crescita economica e sociale.

Il secondo elemento è il supporto logistico e amministrativo. Questo è poco oneroso ma essenziale. Università consapevoli istruiscono il personale tecnico e amministrativo per agevolare l’attività e massimizzare i risultati, facendo in modo che l’attività del ricercatore sia la ricerca e non il soddisfacimento a regole burocratiche. Ad esempio, il giovane ricercatore dell’Università di Toronto mi diceva che il software di simulazione era installato, mantenuto e messo a disposizione di docenti e studenti a livello centrale con un accesso semplice e a basso costo per studenti e ricercatori. Mi diceva anche del sostanziale aiuto amministrativo e del supporto nella preparazione, correzione indirizzamento di proposte di ricerca. Si noti che l’Università di Toronto ha 12589 faculties con responsabilità di insegnamento e ricerca e 6126 amministrativi. Invece, nelle nostre università, gli amministrativi generano o soddisfano la burocrazia a un livello che soffoca e rende inefficiente ogni attività. Ad esempio, un recente acquisto di minuteria elettronica per un costo di 54 Euro ha comportato alcuni giorni di “lavoro” di un ricercatore e della segreteria per l’acquisto Consip: telefonate per “pregare” di mettere le cose sul catalogo elettronico e per soddisfare le condizioni di vendita, verifica che il venditore non era mafioso e altre amenità similari. Il tutto ha sprecato risorse e ritardato le misure sperimentali per più di un mese. Se si andava a un negozio qualsiasi, si impiegava un’oretta circa. Per ricevere un design-kit da Mosis, un’organizzazione della Southern California University che serve migliaia di università nel mondo e ha realizzato per queste più di cinquantamila circuiti integrati come servizio alla ricerca è stato necessario passare sotto l’attenta lente di ingrandimento di diversi strati burocratici e legali, con un ritardo di alcuni mesi. E’ ovvio che avere una struttura che porta via tempo alla ricerca e mette sciocchi ostacoli non favorisce l’eccellenza, specie in un mondo dove la velocità è un fattore essenziale.

Il terzo e più importante elemento è il riconoscimento del valore e il suo incoraggiamento. Sembra banale dire che l’eccellenza deriva dal valore delle persone e che la qualità è facilitata dalla motivazione. Questo, infatti, è quello che università eccellenti promuovono. Avere ricercatori che si sentono valorizzati, determina prestazioni molto più elevate che avere ricercatori bravi ma ignorati. La soddisfazione e la motivazione e come favorirle sono ampio oggetto di studio e facilmente si trovano documenti al riguardo. Se si considera ad esempio la categoria dei ricercatori “motivati ma non soddisfatti” che è quella che meglio corrisponde a quanto si ha in università in decadenza, si possono agevolmente trovarne le caratteristiche: essa è costituita da rinomati (all’estero) ricercatori contenti del proprio lavoro ma scontenti della loro università che si è dimenticata di loro, o da giovani ricercatori capaci e desiderosi di svolgere buona  attività, ma scuri in viso per l’ambiente di lavoro, con la sua lentezza, le sue regole obsolete, stufi di vedere degradata la propria intelligenza in mansioni routinarie, stanchi di investire energia nello scalfire il muro di gomma dei burocrati (amministrativi e accademici) travestiti da manager.

Che cosa motiva? Anche questo è scritto. Per gli universitari, in particolare: l’attività di ricerca in sé. La libertà. La delega (e la fiducia associata). La visibilità. La comunicazione. Il riconoscimento. Il feedback. L’apprendimento. La crescita personale e professionale. Tutti fattori immateriali, psicologici, e fortemente individualizzanti. Comunque, tra le specifiche indicate la libertà è forse la più importante e la sua restrizione con continue norme e “misure”, spesso rozze e strumentali, è una delle ragioni principali dell’obsolescenza.

In aggiunta c’è il denaro. Esso, come ogni manager al mondo sa, produce motivazione solo quando riconosce differenziali da prestazione in maniera equa e discriminante. Se si premia in maniera uniforme o si valorizzano prestazioni irrilevanti o di servizio (spesso di disservizio) allora il messaggio è devastante: la gente pensa che il valore per questa realtà sia la mediocrità, il quieto vivere, la burocrazia e il pestare l’acqua nel mortaio, e a questo, pur tristemente, ritengono ci si debba  adattare. Se poi si sentono spiegazioni tipo: “Non siamo in grado di valutare l’eccellenza” allora si prova lo stesso stupore nel vedere un sovrintendente di teatro che nomina un sordo a dirigere l’orchestra filarmonica.

La motivazione e, di conseguenza, l’eccellenza è nelle mani dei capi che devono assegnare obiettivi, fornire feedback, delegare, dire bravo, dire cosa non va, addestrare, dare supporto, visibilità, decidere e determina la crescita dei giovani nell’organizzazione. E’ appunto questo quanto costituisce, in sostanza, il terzo elemento: riconoscere e incoraggiare il valore accademico e scientifico. Esso è il seme dell’eccellenza accademica e scientifica. Organizzazione e finanziamenti ne sono la conseguenza. Non sono, al contrario, gli “eroi” quelli che servono in sorde e inospitali organizzazioni. In queste, gli “eroi” devono rimanersene rintanati in piccole “isole” dove parlano la sconosciuta lingua dell’eccellenza e possono solo sentire incredulità e dissimulato dileggio le poche volte che vanno in terraferma e incontrano chi ha il “potere”.

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3 risposte a Eccellenza Accademica e Scientifica

  1. Daniela scrive:

    Volevo anche aggiungere che l’ufficio formazione, istituito a suo tempo proprio con l’intento far crescere professionalmete il personale tecnico amministrativo, è stato smantellato.

  2. Daniela scrive:

    come tecnico amministrativo invito i colleghi a riflettere su questo punto e a riflettere su come possiamo, nel nostro piccolo, smentire queste affermazioni:
    “Il secondo elemento è il supporto logistico e amministrativo. Questo è poco oneroso ma essenziale. Università consapevoli istruiscono il personale tecnico e amministrativo per agevolare l’attività e massimizzare i risultati, facendo in modo che l’attività del ricercatore sia la ricerca e non il soddisfacimento a regole burocratiche. Ad esempio, il giovane ricercatore dell’Università di Toronto mi diceva che il software di simulazione era installato, mantenuto e messo a disposizione di docenti e studenti a livello centrale con un accesso semplice e a basso costo per studenti e ricercatori. Mi diceva anche del sostanziale aiuto amministrativo e del supporto nella preparazione, correzione indirizzamento di proposte di ricerca. Si noti che l’Università di Toronto ha 12589 faculties e 6126 amministrativi. Invece, nelle nostre università, gli amministrativi generano o soddisfano la burocrazia a un livello che soffoca e rende inefficiente ogni attività. Ad esempio, un recente acquisto di minuteria elettronica per un costo di 54 Euro ha comportato alcuni giorni di “lavoro” di un ricercatore e della segreteria per l’acquisto Consip: telefonate per “pregare” di mettere le cose sul catalogo elettronico e per soddisfare le condizioni di vendita, verifica che il venditore non era mafioso e altre amenità similari. Il tutto ha sprecato risorse e ritardato le misure sperimentali per più di un mese. Se si andava a un negozio qualsiasi, si impiegava un’oretta circa. Per ricevere un design-kit da Mosis, un’organizzazione della Southern California University che serve migliaia di università nel mondo e ha realizzato per queste più di cinquantamila circuiti integrati come servizio alla ricerca è stato necessario passare sotto l’attenta lente di ingrandimento di diversi strati burocratici e legali, con un ritardo di alcuni mesi. E’ ovvio che avere una struttura che porta via tempo alla ricerca e mette sciocchi ostacoli non favorisce l’eccellenza, specie in un mondo dove la velocità è un fattore essenziale.”

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