Bastone e carota?

Il 10 gennaio, nell’apparente disinteresse generale, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (G.U.), a firma della ministra Carrozza, il decreto che definisce le linee generali di indirizzo per la programmazione delle Università relativamente al triennio 2013-2015 (decreto n. 827 del 15/10/2013). Scopo del decreto è incentivare, attraverso la messa a disposizione di risorse finanziarie, la “…programmazione autonoma delle università, anche in raccordo con gli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) nei diversi territori…”. Una cosa buona, dunque? Vediamo un po’.
Una prima notizia favorevole è che le quote assegnate – vedremo poi su quali basi – potranno essere “consolidate” (cioè rese permanenti all’interno della quota di finanziamento ministeriale del singolo Ateneo, il famigerato FFO) alla fine del triennio. Ma come si ottengono gli incentivi? Presentando progetti tesi a raggiungere alcuni obiettivi. Quali?

La mela avvelenata

L’articolo 2 del decreto (“Linee guida e obiettivi di sistema”) indica due obiettivi: a) promozione della qualità del sistema universitario (S.U.) e b) dimensionamento sostenibile del S.U.. Il primo punto prevede tre tipi di azioni: 1) miglioramento dei servizi per gli studenti (orientamento, formazione a distanza, dematerializzazione degli atti amministrativi, etc.); 2) promozione della integrazione territoriale (attrazione di docenti e studenti, mobilità, integrazione con gli EPR etc.); incentivazione della qualità delle procedure di reclutamento (=diminuire il tasso di inbreeding dell’università) attraverso la presenza maggioritaria di docenti esterni nelle commissioni, etc. Tutte cose sane o quasi, all’apparenza.
La mela di Biancaneve comincia a materializzarsi nel secondo punto. Il “dimensionamento sostenibile” del S.U. si articola su tre azioni, con priorità decrescente: 1) realizzazione di fusioni tra due o più università; 2) realizzazione di modelli federativi di università su base regionale o macroregionale; 3) riassetto dell’offerta formativa attraverso l’accorpamento o la eliminazione di corsi di laurea triennale (L) e magistrale (LM), la riduzione del numero di L e LM attivate presso sedi decentrate, trasformazione o soppressione di L con contestuale attivazione di corsi di istruzione superiore (sic!). Non è ben chiaro, almeno a chi scrive, come giustificare una spesa pubblica per i progetti di cui sopra. Certamente, sarebbe possibile chiedere un incentivo per uno studio di fattibilità della fusione di due Atenei, per poi consolidare l’importo ottenuto ed utilizzarlo per pagare il riscaldamento. Non sembra realistico pensare a nuova edilizia o incrementi di organico.
L’articolo 3 rincara la dose: non possono essere istituite nuove università statali o telematiche, fatti salvi i risultati di eventuali fusioni. Per contro, è possibile istituire nuovi atenei privati. Ma, attenzione, questi ultimi dovranno guardarsi bene dall’attivare corsi di studio in certe classi che, evidentemente, sono già super rappresentate. In particolare, il nostro onnisciente Ministero ha deciso che non ci servono veterinari e agronomi (strano per l’Italia), oltre che avvocati, scienziati politici, musicologi, esperti di moda, spettacolo e comunicazione. Per quanto riguarda medici e chirurghi, infine, “l’istituzione è subordinata al parere della regione in cui si trova l’ateneo”. Tutto poi è vincolato alle solite verifiche accuratissime.

Come si ottengono gli incentivi?

Questo è interessante. L’articolo 4 recita: “…le  Università  possono  concorrere per l’assegnazione delle stesse, adottando e inviando al Ministero entro 45 giorni dalla data di pubblicazione del  presente decreto nella G.U., secondo modalità telematiche definite con decreto direttoriale, il proprio programma triennale coerente con le linee generali di indirizzo e gli obiettivi di cui all’art. 2”. Come si vede, i tempi non sono particolarmente dilatati. MA ATTENZIONE: gli incentivi non possono superare il 2.5% del FFO ottenuto nel 2012 (circa 3 MEuro per Pavia). Il finanziamento viene dilazionato sui tre anni e, dopo il primo anno, viene concesso integralmente solo a seguito del superamento della valutazione periodica. Il consolidamento, infine, è vincolato all’ottenimento di ALMENO il 90% dl finanziamento accordato in origine.

Il gioco vale la candela? 

Ma quant’è il “grano” in gioco? L’articolo 4 parla chiaro: tra lo 0.5% e 1.5% del FFO. In soldoni, qualcosa dell’ordine dei 70 MEuro. Questo ulteriore vincolo fa sì che per Pavia la quota massima ottenibile possa essere ragionevolmente dell’ordine dei 2 MEuro. Ma ne vale la pena? Non è chiaro, certamente occorre considerare anche aspetti di visibilità e di opportunità che vanno al di là del puro livello di income.

Banco di prova

Ma come nascono i progetti? Il Senato Accademico nella seduta del 27 gennaio ha approvato una tabella di proposte nel filone del miglioramento dei servizi per gli studenti. Come sono nati questi progetti? Non se ne è parlato nei Consigli Didattici né, tantomeno, nei Dipartimenti. Anche lo stesso S.A. ha ricevuto la tabella soltanto pochi giorni prima. Non si ha notizia di precedenti lavori svolti in commissione. Le modalità con cui, in futuro, verrà coinvolta la comunità accademica (se lo sarà) sono attualmente ignote. Con tutte le attenuanti del caso, viste le scadenze imminenti, e senza entrare nel merito della bontà dei progetti approvati, appare evidente che esiste una questione di metodo che deve essere affrontata e chiarita al più presto. Questo sarà un significativo banco di prova per la nuova governance.

Piercarlo Mustarelli

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