Human technopole (HT) e l’Aventino

La questione Human Technopole, nella sua complessità, ha messo in evidenza alcuni aspetti strettamente connessi sia ai problemi del sistema universitario del paese, sia ai problemi specifici del nostro Ateneo. Il Circolo era già intervenuto sul progetto di questo centro con una breve nota del 10 novembre 2015. Pubblichiamo ora interventi che presentano vari aspetti della questione.

Come sappiamo, l’area EXPO sarà destinata allo sviluppo di un polo d’eccellenza per le scienze e tecnologie della salute sotto la regia di una struttura privata, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, e con la partecipazione di tre università milanesi (Politecnico, Statale e Bicocca). Nei giorni scorsi, il Rettore Rugge ha pubblicato sul Corriere della Sera un pezzo in cui reclama a voce alta un ruolo di primo piano per il nostro Ateneo, in considerazione della vicinanza geografica e della sua natura multidisciplinare che gli consente di vantare competenze di eccellenza nella biomedicina, nell’ingegneria e, in generale, nelle “scienze dure”.

A mio parere, il Rettore ha agito correttamente nel reclamare il diritto/dovere per l’Università di Pavia di far parte di HT. Vediamo perché, con una premessa:

esiste certamente un problema di opportunità e di compatibilità del finanziamento dato a IIT con le risorse destinate al sistema pubblico. Ci si chiede che senso abbia destinare ingenti risorse pubbliche ad un soggetto privato, quando l’università pubblica è in grande sofferenza ormai da lustri. Nel più ampio contesto del problema del finanziamento al sistema universitario si valutano azioni di protesta, anche clamorose, nei confronti del decisore pubblico e, tra queste, anche la possibilità di soluzioni di tipo aventiniano verso HT.

D’altra parte, HT è ormai legge dello stato, è un fatto. Le chiacchiere “stanno a zero”. Occorre ora valutare se starne fuori per ragioni di protesta e/o dignità (absit iniuria verbis), o cercare di far parte del processo e, in qualche misura, governarlo.

La costituzione di poli di eccellenza è una prassi che, piaccia o no, va progressivamente consolidandosi a livello internazionale, soprattutto nel campo della biomedicina, della tecnologia e delle scienze dure (si vedano ad esempio le strutture Max Planck e Fraunhofer in Germania). Il modello di sviluppo ricalca, in qualche misura, quello tipico della big science degli anni ’50, nel senso che la ricerca di eccellenza richiede grandi gruppi, ingenti finanziamenti, strumentazione all’avanguardia. Un recente studio apparso su Nature mostra chiaramente che la possibilità di pubblicare su riviste “top” (e quindi, nel sistema attuale, di avere finanziamenti e notorietà internazionale) è sempre più appannaggio di collaborazioni con università ed enti ricerca “forti e ricchi” (es.: Ivy League, Cambridge, etc.). Questo fatto introduce in modo diretto il problema della “proprietà del dato”, cioè della disponibilità dei risultati per eventuale brevettazione o per lo sviluppo di nuova ricerca, prodotti o processi. Nel modello attuale di sviluppo, infatti, la proprietà è in capo a chi svolge realmente la ricerca grazie alla disponibilità di strutture, attrezzature e personale altamente qualificato, quindi ai gruppi ricchi. Costoro, in una sorta di circolo virtuoso, potranno accedere a nuovi e maggiori finanziamenti. Ne consegue che la partecipazione di “gruppi poveri” a cordate potenti, pur non penalizzando i singoli ricercatori dal punto di vista dei dati bibliometrici (il loro nome comparirà comunque nel lavoro), porta comunque a un progressivo depauperamento delle risorse umane e strumentali di questi gruppi (che non potranno accedere a finanziamenti di grande entità) e quindi della struttura nel suo complesso.

E’ quindi di importanza fondamentale poter accedere a fonti di finanziamento che consentano il rinnovo della strumentazione e l’acquisizione di personale di alta qualificazione. HT è una di queste fonti di finanziamento. Negli ultimi quindici anni l’Università di Pavia ha perso già diversi treni in questo senso, dal bando Centri di Eccellenza MIUR (2002), alla prima assegnazione di centri di ricerca delocalizzati di IIT (2006), al Centro Europeo di Nanomedicina (2010). Sarebbe quindi esiziale trovarsi fuori anche dalle linee di finanziamento HT.

Piercarlo Mustarelli

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Una risposta a Human technopole (HT) e l’Aventino

  1. Giuseppe De Nicolao scrive:

    “si valutano azioni di protesta, anche clamorose, nei confronti del decisore pubblico e, tra queste, anche la possibilità di soluzioni di tipo aventiniano verso HT.”
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    Per ritirarsi sull’Aventino, bisogna essere tra coloro che partecipano a un consesso. Per ora, Pavia non ha nessun ruolo in Technopole e non può pertanto mettere in atto nessun Aventino. Piuttosto ci si sta presentando con il cappello in mano, disponibili ad un regime di “doppia verità” (“l’università pubblica è in grande sofferenza ormai da lustri”, ma allo stesso tempo «”HT è ormai legge dello stato, è un fatto. Le chiacchiere “stanno a zero”»). Evitare questo genere di capriole non si chiama Aventino. Si chiama coerenza.
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    “Occorre ora valutare se starne fuori per ragioni di protesta e/o dignità (absit iniuria verbis), o cercare di far parte del processo e, in qualche misura, governarlo.”
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    Tra tutti gli sbocchi possibili, l’eventualità che Pavia si trovi in qualche misura a governare il processo appare abbastanza remota. Esibire grandi ambizioni rende un po’ meno imbarazzante mettere in secondo piano le ragioni della dignità (che giustamente cedono il passo a quelle della convenienza, tanto più se questa è grande, quanto meno nell’immaginazione).

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